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Gli imperi coloniali della Spagna e del Portogallo, costituitisi agli inizi del Cinquecento, offrono di ciò una prova lampante. I sacrifici e le lotte che i popoli colonizzati hanno dovuto sopportare e combattere sono stati duri ed aspri, ma il processo di decolonizzazione è risultato inarrestabile, ed oggi le colonie sono ormai inesistenti. Soltanto qualche arcipelago o qualche isola di piccola estensione o qualche località come, ad esempio, Gibilterra, ne fanno ancora parte, ma sono tutte sottoposte a contestazione, e non dureranno certamente a lungo.

C’è da chiedersi a che cosa sia dovuto questo irresistibile movimento di emancipazione dei popoli oppressi, che si è attuato e concretato nel giro di così breve tempo, mentre per secoli non si era verificato nulla di simile. Eppure la risposta è facile a fornirsi. L’istruzione nel nostro secolo si è diffusa in estensioni assai maggiori del nostro pianeta rispetto a quanto non è avvenuto nei secoli passati. Non solo si è diffusa estensivamente ma anche capillarmente, nel senso che anche nei paesi civilizzati essa ha subito un incremento e una diffusione maggiore rispetto al passato specie tra tutti gli strati della società: cosicché è accaduto che si sia preso coscienza da parte di molti – anzi di moltissimi – dei problemi che li riguardavano, e come individui, e come facenti parte di un gruppo sociale. Si dirà che questo non è un discorso che ha senso nell’ambito dei paesi che oggi siamo soliti indicare come sottosviluppati o in via di sviluppo, mentre assume tutta la pregnanza di significato nei paesi industrializzati. Tutto è relativo, ben si intende, giacché anche i cosìdetti paesi sviluppati hanno nel loro interno più di una plaga di sottosviluppo. Tuttavia, in linea di massima, è giusto dire che, mentre nei paesi sviluppati è quasi tutta la popolazione, che compone quei paesi, a prendere coscienza dei problemi che la riguardano, giacché in forza della diffusione dell’istruzione in tutti gli strati sociali, essa ha acquisito una maturazione e una coscienza sufficienti a comprenderli e a discuterli per indicare le soluzioni più valide; nei paesi in via di sviluppo invece soltanto una elite di persone fortunate prende coscienza dei problemi che riguardano sia loro come singoli individui, sia la società di cui fanno parte. I movimenti anticoloniali, dovuti certamente a una presa di coscienza dell’identità di quei popoli, dove si sono diffusi e che gli hanno portati ad emanciparsi dalla schiavitù imposta loro dalle potenze colonizzatrici, non sono dovuti al contributo di tutto un popolo, bensì all’iniziativa intellettuale, morale e persino fisica di pochi illuminati, i quali sono diventati i dirigenti di quei popoli e li hanno orientati – e tutt’ora li orientano – ad una concezione di vita diversa rispetto al passato.

La prassi diffusa della vita dalle potenze coloniali fra i popoli da loro colonizzati, era improntata all’obbedienza supina, all’alienazione dalla loro identità, alla non acquisizione di alcuna dignità o prestigio. Una simile concezione di vita non poteva provocare né senso di emancipazione, né desiderio di indipendenza tra quelle genti. I governanti delle potenze coloniali si appoggiarono costantemente sulle aristocrazie locali allo scopo di avere da esse l’aiuto necessario a tenere il popolo schiavizzato. Il gioco è loro riuscito per molto tempo. Ma non si riesce ad ottenere tutto ciò che si vuole.

Nell’ambito dell’agire umano ha spesso senso l’eterogenesi dei fini. Gli uomini infatti si propongono di ottenere un certo obbiettivo come conseguenza alle loro azioni, e invece esse ne sortiscono un altro magari impensato e tantomeno sperato. E’ accaduto così che i figli delle aristocrazie dei popoli colonizzati si sono recati a compiere gli studi nei paesi colonizzatori, ne hanno assimilato gli usi e i costumi, si sono impadroniti del loro modo intellettuale di procedere, di quello di governare e, perché no? di quello di dominare. Tornati in patria, hanno posto in essere gli artifici appresi non nei confronti dei popoli cui appartenevano - come sarebbe stato l’intento di chi glieli aveva insegnati - , bensì nei confronti dei dominatori. In tal modo, adoperando tutta la loro intelligenza, compiendo sacrifici immensi, pur senza realizzare una vera e propria democrazia nei loro paesi, sono riusciti ad infondere nella parte più avveduta dei loro popoli una concezione della vita del tutto opposta a quella inculcata dai colonizzatori, improntata alla coscienza di sé come popolo e come nazione, e ad organizzare quelle ribellioni popolari, che hanno finito per condurre quei popoli all’indipendenza nazionale.