Indice articoli

 

Non miglior sorte toccò alla Francia con Luigi XV. Questi si disinteressò completamente dei suoi compiti di re e affidò l’esercizio del governo a ministri inetti e corrotti, dominati e guidati dai capricci delle sue amanti di cui le meno peggiori furono Madame De Pompadour e Madame Du Barry. I turbinii, sotto il governo di Luigi XV, si addensavano sulla Francia sempre più minacciosi; ma egli poco se ne curò. E può anche darsi che non sia del tutto leggendaria la frase che gli venne attribuita : “dopo di me venga pure il diluvio”. Se pure non l’ha mai pronunciata, essa risulta più che mai conforme al suo modo di governare.

Luigi XVI ereditò dal suo predecessore una situazione molto difficile. Le finanze dello Stato erano in totale dissesto. La nobiltà, approfittando della debolezza del potere regio, aveva ripreso a comandare, riacquistando pienamente tutte quelle prerogative politiche, che aveva perduto con Luigi XIV. La borghesia era in continuo fermento, sempre alla ricerca della buona occasione che le consentisse di trasformare la sua potenza economica in potenza politica. Le masse diseredate, costituite da contadini, braccianti, bottegai e piccoli artigiani, davano luogo a sollevazioni frequenti nelle diverse parti della Francia e vana risultava la ferocia delle repressioni. Il clero e i nobili, che detenevano quasi tutte le terre del Paese e dovevano quindi pagare le tasse, mediante le quali le finanze della Nazione dovevano essere risanate, si opponevano caparbiamente a che ciò avvenisse, volendo conservare intatto il privilegio che poneva loro nelle condizioni di non pagarle. Così stanno le cose, i vari ceti sociali aspettavano la salvezza dalla convocazione degli Stati Generali, certi che tale convocazione avrebbe volto le cose a proprio favore. L’ultima volta che gli Stati Generali erano stati convocati fu nel 1614 ad opera di Maria Dè Medici reggente per conto di Luigi XIII. Allora gli Stati Generali avevano assolto docilmente il compito per conto di chi li aveva convocati. Ma ora non fu così. Infatti la loro riunione coincise di fatto con lo scoppio della Rivoluzione. Facendo un attento raffronto della situazione storica del 1614 con quella del 1789, non ci stupiamo certamente che ciò sia avvenuto.

I deputati che si riunirono a Versailles il 5 Maggio del 1789 portando con sé migliaia di Cahiers de doléances, che documentavano la tetra miseria della popolazione delle più disparate parti della Francia, avevano una forma mentis ben diversa da quelli che si erano riuniti nel 1614. Essi conoscevano molto bene le dottrine che i filosofi dell’Illuminismo avevano elaborato e i cambiamenti di regime e di società che quelle auspicavano. Sapevano che la monarchia assoluta per diritto divino non aveva un fondamento legittimo; che i privilegi del clero e della nobiltà erano un sopruso; che le tasse dovevano essere pagate da coloro che detenevano le ricchezze; che tutti gli uomini, dotati della medesima ragione, avevano gli stessi inalienabili diritti e che erano uguali davanti alla legge. Con simili dottrine nella mente, è chiaro che non avrebbero mai potuto accettare le imposizioni del re e dei ceti privilegiati e, conoscendo benissimo in teoria ciò che dovevano fare per mutare le situazioni di fatto che stavano davanti ai loro occhi, diedero corso alla Rivoluzione per operare in esse quei mutamenti radicali già delineati tempo innanzi dai filosofi.