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Le monarchie assolute, infatti, in ogni tempo hanno poggiato la loro legittimità sulla famiglia. I sudditi sono stati considerati dai sovrani come figli propri, nonostante che i sudditi rifiutassero tale paternalismo. Un esempio lampante di questa situazione è offerto dai monarchi che costituirono la Santa Alleanza nel 1815, i quali sostennero di considerare i loro sudditi ed eserciti come padri di famiglia.[1]

 

I figli, come ben si sa, appartengono ad entrambi i genitori, poiché entrambi hanno contribuito a metterli al mondo. Ma come mai il padre è stato sempre, salvo in gravi eccezioni, il capo della famiglia, colui che ha avuto il dominio assoluto su di essa? Come mai la madre, pur essendo una componente di egual grado nella composizione della famiglia, si è vista costantemente attribuire un ruolo subalterno?

A parte le sopraffazioni, che l’uomo ha effettuato in ogni tempo nei confronti della donna e i pregiudizi conseguenti che via via si sono formati perfino nelle stesse donne – pregiudizi che l’autoritarismo sociale ha teso ad incrementare e non a dissolvere -, una spiegazione si può fornire senza tema di errore.

Agli inizi del suo cammino il genere umano ha avuto una vita molto difficile. Gli uomini lasciavano le mogli e i figli nelle capanne ed andavano a caccia e a pesca per procurare loro il cibo necessario. Questo costava ad essi grandi sacrifici e pericolosissime avventure. Esposti com’erano al rischio continuo, diventavano decisi ed aggressivi. Questo comportamento lo assumevano anche in famiglia. Cosicché impararono presto a comandare senza ammissione di replica, poiché sentivano di essere gli indispensabili sostenitori della famiglia. E così finirono necessariamente per vederli anche le mogli e i figli. Il prestigio che l’uomo si guadagnò presso i figli e la moglie, data la sua funzione derivatagli direttamente dalla forza fisica di unico procacciatore di cibo per la famiglia, lo autorizzò a disporre dei suoi componenti a piacimento, quasi si trattasse di oggetti e non di persone.

Il sorgere dello Stato sulle basi autoritarie, come ho mostrato più sopra, creò un diritto di famiglia legittimante l’autoritarismo paterno, sicché esso non ha ancora cessato di esercitare il suo influsso, nonostante le aspre lotte condotte dal movimento femminile e l’ultramodernità del nostro tempo. Il fatto è che l’uomo, convintosi di essere non solo il sostentatore della famiglia ma anche il suo generatore in senso fisico, e vedendo nei figli ciò che gli permetteva di superare l’inesorabile annullamento provocato dalla morte fisica, volle che i figli gli somigliassero in tutto e per tutto, e a questo fine li educò!

Così la tradizione corse per i secoli. Il cristianesimo, al suo avvento, parve volerla interrompere. Gesù si chiese: “ chi è mia madre e chi sono i miei fratelli”? [2]

Lo scopo appare abbastanza chiaro. Si tende a valorizzare la personalità del figlio come individuo e quella della madre e di tutti i componenti della famiglia, sentiti pur essi come individui esplicantisi liberamente. Questa affermazione di alta democrazia purtroppo fu di breve durata e non sortì alcun effetto pratico. Anche il cristianesimo non mantenne la promessa ideale. Quando infatti Costantino e Licinio, vedendo ormai con chiarezza che il cristianesimo aveva trionfato sul paganesimo e che era meglio conciliarlo con il potere statale, pubblicarono l’editto di Milano nel 313 d.C. con cui si considerava religione da poter essere liberamente professata da chiunque intendesse farlo. Esso era divenuto la religione dominante nell’Impero Romano. Meno di settant’anni dopo, Teodosio con l’editto di Tessalonica lo proclamava addirittura religione ufficiale dello Stato. Il cristianesimo aveva vinto definitivamente la religione pagana, ma andava perdendo sempre più quello spirito di semplicità e di democrazia che gli aveva dato anima e vigore agli inizi della sua diffusione. La sua vitalità veniva assorbita dallo Stato ed asservita all’alimentazione del suo potere.