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Un atteggiamento di tal genere implica l’abbandono totale dell’egoismo. Nasce da qui il mio sforzo costante per far trionfare, nel contrasto offerto dall’adolescenza, l’altruismo nei confronti dell’egoismo, l’esigenza del rispetto di noi stessi, ma anche degli altri. Io rammento sempre che la massima evangelica “non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te”, deve essere assunta come base del nostro comportamento nei rapporti con gli altri, poiché essa costituisce l’essenza di noi come esseri umani. E proprio perché siamo esseri umani, soggetti quindi a tutte le sofferenze e le limitazioni che ciò significa, ricordo che abbiamo il sacrosanto dovere di soccorrerci a vicenda; che nulla potremmo mai concludere senza la collaborazione dei nostri simili; che da questa esigenza è nata la società tra i primi uomini e che il progredire della civiltà deve accentuarla, se vogliamo che la nostra condizione umana divenga sempre più tale; che per questo motivo devono essere banditi dalla nostra convivenza la violenza e l’odio e albergati, come cose di pregio inestimabile, il dialogo, la persuasione e l’amore reciproco. Ricordo ancora che al disopra di noi c’è Dio, il Supremo Essere che ci accomuna in sé e che sempre ci ama anche quando noi non facciamo altrettanto per lui, sapendoci perdonare le disaffezioni purché siano dovute alla debolezza dei nostri sentimenti e non all’uso cattivo della nostra intelligenza. E ciò ci deve indurre ad essere sempre buoni con il nostro prossimo, giacché allora saremmo rispettosi della volontà di Dio, fonte di ogni nostro bene. Dio infatti chiama tutti in egual misura e si comporta con ciascuno di noi allo stesso modo, elargendoci cioè il suo amore infinito poiché infinta è la sua bontà. Se, a onor del vero, si da uno sguardo attento a quanto succede nel mondo ai diversi esseri umani, non sembrerebbe potersi sostenere o accreditare una tesi siffatta, che vuole cioè l’infinita bontà di Dio e l’equo comportamento con gli uomini. Anzi gli argomenti non mancano per affermare il contrario. Tutti i santi giorni ognuno di noi può constatare situazione ingiuste tra gli uomini. Ci sono tra loro i ricchi, detentori di tutte le comodità materiali, e capaci quindi di vivere sereni anche nello spirito, giacché fino a quando resteremo in vita mai lo spirito potrà separarsi del tutto dalla materia, e i poveri esposti ad ogni forma di sofferenza e di disagio, come malattie gravissime che potrebbero essere curate soltanto con un lieve miglioramento della nutrizione di chi ne è affetto, o altre non meno gravi che potrebbero essere evitate nella loro insorgenza se solamente si fosse data la possibilità a chi le ha contratte di osservare le più elementari norme igieniche. E tanti di questi individui, così innocentemente sofferenti, riconosciamolo pure, non si rassegnano ad accettare passivamente la loro condizione, del resto tanto dura da sopportare, per cui il loro volgersi a Dio non è ne sereno ne benevolo perché sentono di aver avuto da lui soltanto sventure. Così come non si rassegnano facilmente i portatori di handicap gravi quando guardano la stragrande maggioranza dei loro simili, i quali non portano la loro sofferenza, ma vivono in pieno la vita, fluendo delle svariate gioie che offre senza fare sforzo alcuno, mentre essi sono costretti per cause che non dipendono dalla loro volontà e che, per quanto si adoperino, non riusciranno mai a superare o ad eliminare, ad osservare impotenti quanto avviene nell’ambiente che li circonda. Eppure io rispondo a coloro che incolpano Dio dei mali del mondo che hanno torto a volgersi a Lui con ira poiché non ha alcuna colpa. La sua bontà infinita non avrebbe senso di esistere se egli fosse colpevole dei numerosi e terribili mali che affliggono il mondo. Ma si obbietta giustamente: “se Dio è autore delle cose, anche il male deve provenire da lui”. Egli infatti, creando l’universo, non h avuto alcun condizionamento poiché è onnipotente. A mio avviso, in questo punto il ragionamento che si fa su Dio, non regge. I due attributi, che la tradizione teologica gli conferisce quello della bontà infinita e quella potenza infinita non si conciliano tra loro in un'unica persona. Se si accetta l’insegnamento della tradizione teologica cristiana, secondo la quale Dio ha creato dal nulla ogni cosa, non c’è dubbio che egli debba essere anche autore del male. A questa serrata argomentazione non riesce a sottrarsi nemmeno la tesi di Sant’Agostino per cui il male non ha ragione esistenziale perché, in definitiva, si identifica con il nulla in quanto anche il nulla, per il fatto stesso che lo si vuole negare, è pur qualcosa, come osservava il monaco Fredegiso nell’opera De nihilo et tenebris [1]