Indice articoli

La soluzione del problema, secondo il mio modesto parere, si trova nell’ammettere con un atto coraggioso di onestà intellettuale, che Dio è infinitamente buono ma di potenza limitata. Egli si duole dei mali del mondo e ne soffre profondamente, ma non può fare altro. Per tale ragione, noi uomini ci dobbiamo rivolgere a Dio sempre con benevolenza, consci che i motivi del nostro soffrire non risalgono a lui, bensì a qualche cosa che lui stesso non è in grado di dominare. Egli anzi è solidale con coloro che soffrono partecipando con tutto il suo amore per loro. Coloro che oppongono un Dio perfetto ed immune da ogni sofferenza, ogni potente autore di tutto il creato oltre che del bene, debbono riconoscerlo dunque anche fonte del male. Ma in tal caso, questo Dio non può che essere contraddittorio, in quanto per la sua infinta bontà, non può che essere esclusivamente fonte del bene. Ma per la sua infinita potenza è la causa prima e principale di tutto ciò che esiste ed avviene nel mondo e quindi anche dei cattivi eventi e delle azioni malvagie. Né, mi pare, ha molto senso far valere una legge compensativa, secondo la quale la sofferenza dei buoni e degli innocenti serve per la redenzione dei malvagi. Poiché questa teoria è diffusa nell’ambito del cristianesimo, il quale evidenzia l’individualità nella singolarità della persona che è un dato unico e irripetibile, non si capisce, seguendo il senso rigoroso della logica, come si possa accreditare una simile teoria. A me pare che una teoria siffatta sia adeguata non a giustificare l’infinita bontà di Dio bensì la sua abissale cattiveria, giacché punisce ingiustamente con la sofferenza i buoni che lo amano e viceversa premia con la gioia della salvezza coloro che lo detestano. Il che fa di Dio un essere crudele senza scusante, perché egli fa tutto questo senza il condizionamento di chicchessia, data la sua onnipotenza. Un tale Dio francamente mi fa inorridire. Egli non ama i buoni, anzi li detesta e gode dei tormenti che infligge loro.

Ma allora dove si pone la giustizia divina di fronte alla responsabilità umana? E’ un interrogativo che non trova risposta in una siffatta concezione di Dio. Io lo dico sempre ai giovani che un tale Dio non è alla portata degli animi semplici. Questo è un Dio che è stato costruito dai teologi che hanno mirato a rilevare più la sua maestosità, che la sua umiltà; più la sua severità, la sua bontà. Pascal avrebbe detto che questo è un Dio dell’intelletto piuttosto che un Dio del cuore. Ma se Dio è la fonte dell’amore che intercorre tra gli uomini e di quello che intercorre e se stesso, egli deve essere concepito non come un giudice, bensì come un padre. E come un padre partecipa alla sofferenza dei figli e si adopera per alleviarla o eliminarla del tutto, così Dio fa per gli uomini, che sono suoi figli, soccorrendoli per alleviare o eliminare le loro sofferenze, piangendo con loro quando ciò non è possibile. Sì, perché noi ci sentiamo vicini a Dio quando lo sentiamo e lo sappiamo vicino a noi nei momenti più drammatici ma anche nei momenti più belli della nostra vita. Proprio come avviene ad un padre affettuoso e buono che ci sta sempre accanto, pronto a rimproverarci o a complimentarci a secondo che le azioni che compiamo siano degne di rimprovero o di complimento.