Indice articoli

Conclusione.

L’esposizione che ho fatto in questo scritto del mio criterio pedagogico, non comprende la mia intera visione della concezione educativa. Essa è necessariamente limitata dalla mia situazione professionale.

Poiché infatti insegno a ragazzi dai 16 ai 19 anni e, per giunta, in una scuola superiore, ho trascurato di indicare il procedimento educativo che avrei seguito in una scuola elementare o in una scuola media inferiore anche perché, per essere sincero, non mi sono mai preoccupato di fare una ricerca in tal senso, non avendo avuto alcuna occasione di esercitare la mia attività di docente in tali scuole. Ritengo però che lì avrei seguito lo stesso criterio adattandolo alle particolari situazioni psicologiche individuali presentate dai bambini o dai fanciulli.


 

Il mio insegnamento ha sempre voluto fornire ai giovani una formazione generale senza tuttavia precludere la possibilità allo sviluppo della specializzazione particolare. Anzi penso che alla formazione generale debba necessariamente far seguito la specializzazione approfondita in un particolare settore del sapere, giacché sono pienamente convinto che l’enciclopedismo è segno chiaro di dilettantismo. Né è concepibile si possa verificare ai nostri giorni quanto auspicava il Rinascimento nell’educazione dell’uomo, secondo cui l’individuo doveva diventare espertissimo in ogni campo dello scibile. Adoperandomi a far sviluppare gli interessi per i vari aspetti della realtà, non mi auguro certamente che ciò serva ai giovani di pastoia nel prosieguo della loro formazione, la quale deve essere senza dubbio specialistica. Né ho mai pensato di privilegiare gli interessi teorici sui pratici o i letterali sugli scientifici o sui tecnici. Al contrario, ho sempre detto e sostenuto che la personalità di un individuo emerge in qualunque attività egli eserciti, purché sia portato per essa e la svolga con passione. A riprova di ciò, tanti giovani laureati miei ex allievi si sono affermati nei campi più disparati, dalla medicina all’ingegneria, dalla chimica alla matematica, dalla avvocatura alla letteratura e all’insegnamento delle più svariate materie. Mai mi è capitato, per mia somma fortuna, di scoraggiare alcun mio alunno in qualche sua iniziativa, né di avere stroncato la genialità nel suo manifestarsi. E se ho detto, nel terzo paragrafo di questo scritto, che non è compito della scuola di allevare i geni, ho voluto significare che la scuola non deve assolutamente favorire le menti elette, bensì la formazione del maggior numero di menti possibili, benché modeste, poiché il suo compito è quello di diffondere il sapere tra le masse e far sì che queste si innalzino il più possibile verso la luce della cultura. Quando poi si palesano i geni, siano essi i benvenuti e si faccia di tutto perché giungano al massimo rendimento. Non ho mai approvato coloro che caldeggiano la selezione in senso tradizionale. La scuola deve essere concepita in funzione formativa e non selettiva. Si deve fare in modo che l’istruzione, che essa profonde, sia diretta a tutti e a tutti risulti accessibile sia negli argomenti che propone per realizzare i suoi fini, sia nel modo in cui li propone, di modo che non privilegi i più dotati, bensì i meno dotati senza tuttavia mortificare o togliere nulla ai primi.


 

La mia concezione di scuola formativa però non esclude la selezione, anzi presuppone la necessità di attuarla. Il fatto che si debba badare a formare il maggior numero possibile di allievi, non vuol dire che si debbano necessariamente mandare avanti tutti portandoli, quasi contro la loro stessa voglia, a conseguire i titoli di studio più alti che vengono elargiti. A causa di malintendimento del concetto di scuola formativa, purtroppo in Italia questo è avvenuto negli anni Settanta. In quegl’anni, bisogna riconoscerlo, le nostre scuole superiori e le nostre università hanno conferito tanti diplomi e tante lauree davvero vuoti del contenuto culturale ad essi confacente. Io non sono stato mai d’accordo con questo modo di procedere. Ho sostenuto che ciò significava diseducare la gioventù, incitandola al disimpegno nei confronti di qualunque forma di sacrificio. Al contrario di quanti hanno pensato e proceduto così, mi sono adoperato per inculcare nei giovani il senso del dovere e del sacrificio, ammonendoli che la vita consiste in una lotta dura e continua e che occorre fornirsi di una seria preparazione, se si vuole vincere, conseguendo traguardi soddisfacenti che ci diano il gusto del vivere e ci inducano a credere che la vita vale davvero la pena di essere vissuta.

Dai risultati ottenuti finora nella formazione e nell’educazione dei miei alunni, considerata la capacità che tanti di essi hanno mostrato nell’affermarsi nelle più svariate professioni, sono convinto di avere fatto uso di un metodo pedagogico giusto. Mi auguro di poter proseguire su questa via fino alla fine della mia carriera di docente, non tanto per la gloria che potrà tornare a mio vantaggio – cosa di cui non mi preoccupo affatto-, quanto per il bene che ne potrà ricavare la società in cui i miei ex allievi già operano e continueranno ad operare.

Fine.

Composto tra luglio e settembre del 1983