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La mia concezione di scuola formativa però non esclude la selezione, anzi presuppone la necessità di attuarla. Il fatto che si debba badare a formare il maggior numero possibile di allievi, non vuol dire che si debbano necessariamente mandare avanti tutti portandoli, quasi contro la loro stessa voglia, a conseguire i titoli di studio più alti che vengono elargiti. A causa di malintendimento del concetto di scuola formativa, purtroppo in Italia questo è avvenuto negli anni Settanta. In quegl’anni, bisogna riconoscerlo, le nostre scuole superiori e le nostre università hanno conferito tanti diplomi e tante lauree davvero vuoti del contenuto culturale ad essi confacente. Io non sono stato mai d’accordo con questo modo di procedere. Ho sostenuto che ciò significava diseducare la gioventù, incitandola al disimpegno nei confronti di qualunque forma di sacrificio. Al contrario di quanti hanno pensato e proceduto così, mi sono adoperato per inculcare nei giovani il senso del dovere e del sacrificio, ammonendoli che la vita consiste in una lotta dura e continua e che occorre fornirsi di una seria preparazione, se si vuole vincere, conseguendo traguardi soddisfacenti che ci diano il gusto del vivere e ci inducano a credere che la vita vale davvero la pena di essere vissuta.

Dai risultati ottenuti finora nella formazione e nell’educazione dei miei alunni, considerata la capacità che tanti di essi hanno mostrato nell’affermarsi nelle più svariate professioni, sono convinto di avere fatto uso di un metodo pedagogico giusto. Mi auguro di poter proseguire su questa via fino alla fine della mia carriera di docente, non tanto per la gloria che potrà tornare a mio vantaggio – cosa di cui non mi preoccupo affatto-, quanto per il bene che ne potrà ricavare la società in cui i miei ex allievi già operano e continueranno ad operare.

Fine.

Composto tra luglio e settembre del 1983