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Quando la politica è estremamente ideologizzata arriva all’assurdo di disconoscere l’umanità. Un uomo politico, io credo, ha il dovere di distinguere la persona in quanto tale dalla posizione politica in cui essa si colloca anche quando, e soprattutto allora, egli combatte duramente quella posizione politica.

La rigidezza che mostrò Robespierre di fronte a Desmoulins quando la moglie di quest’ultimo lo implorò di intervenire a favore del marito in nome dell’antica amicizia, che per tanto tempo li aveva legati, affinchè lo salvasse dalla condanna capitale che gravava sul suo capo, ed egli rispose che non intendeva farlo poiché Desmoulins aveva sbagliato, ed era giusto che pagasse anche con la vita i suoi errori, è umanamente inconcepibile. Non si può sacrificare la dignità di una persona ad una ideologia politica. Infatti c’è molto da discutere sulla giustezza di una ideologia politica giacché essa poggia le proprie basi su valori assai transeunti, mentre la persona umana lo poggia su valori assoluti, per quanto di assoluto si possa parlare nel nostro mondo. Un ideologia politica può essere riveduta senza che perda la sua identità; una persona umana non si presta a revisioni e, una volta che la si è distrutta, non consente di essere recuperata. Ecco perché la persona umana occupa valori di gran lunga più alti delle ideologie politiche.

Seguendo il mio ragionamento, sembrerebbe di capire che in politica non ci debbano essere punti fermi ma che si debba obbedire ad una mobilità totale. Ebbene, non è così. Io penso che un ideale politico valga moltissimo; vale addirittura il sacrificio della vita di chi lo possiede. Quello che però non è ammissibile è che colui che professa un ideale politico si senta autorizzato a calpestare la dignità altrui, o addirittura a rivendicarne la distruzione totale. In questo caso si compie una sopraffazione meritevole giustamente di tutto il disprezzo di cui l’atto soprafattivo si serve ogni volta che si verifica. In altre parole: chi professa un ideale politico ha il dovere morale di compiere per esso qualunque sacrificio, persino quello della propria vita, ma non ha nessun diritto di torcere un capello a chicchessia per farlo trionfare. Il discorso però va chiarito ulteriormente perché si possa sensatamente accettare. Mi trovo pienamente d’accordo con quanti considerano l’individuo umano come sacro e inviolabile; ma non posso ammettere che non venga considerato altrettanto sacro ed inviolabile il collettivo.


 

Il liberalismo, che è disposto a riconoscere esclusivamente il valore dell’individuo, e il socialismo, che fa ciò nei confronti del collettivo, esprimono due posizioni unilaterali, capaci soltanto di estremizzare la situazione sociale, cosa oggi da nessuno approvata perché non rispondente alle esigenze reali. Ne più chiara a riguardo risulta la posizione cattolica, espressa in modo particolare dalla Neoscolastica, di cui Jacques Maritain è il maggiore rappresentante. Questi filosofi non approvano ne le dottrine sociali del liberalismo ne quelle del socialismo perché unilaterali; ma la correzione che sanno apportare almeno in teoria – giacché in pratica si collocano abbastanza vicino al liberalismo – è quella di indicare una fuga dal mondo. Distinguono infatti l’individuo dalla persona perché il primo è finalizzato esclusivamente all’umano, che non può riguardare che la società terrena; la seconda ha come proprio fine Dio; e quindi la sua base è il trascendente e l’assoluto. Il vero bene comune delle persone è la trascendenza divina, che esprime l’assoluto. Il sociale terreno è il bene comune minimo delle persone in questo mondo, il quale sua volta, ha il suo fondamento nel bene comune assoluto: cioè in Dio. Questa dottrina filosofica politica, nata per mediare l’estremismo della dottrina liberale e di quella socialista, non ha mediato nulla giacché ha indicato non una soluzione al problema che si era posto, bensì un evasione da esso. La dottrina Neoscolastica, a mio avviso, non è adatta alla soluzione delle problematiche sociali dei tempi moderni, in quanto esse hanno il loro fondamento sulla terra e non sul cielo. La Neoscolastica più che una dottrina sociale, è una dottrina consolatoria. Nel Medioevo le masse erano in totale balìa di pochi privilegiati dominatori. Esse avevano soltanto doveri di obbedienza alle imposizioni, mentre mancava loro qualsiasi diritto per far valere le esigenze più elementari. Su di loro gravavano le prepotenze, le sopraffazioni e le sofferenze più svariate. In condizioni simili riuscivano loro adeguatissime quelle dottrine che affermavano che la felicità si trovava nel mondo celeste e non in quello terreno. Il mondo terreno era transeunte; quello celeste era eterno. Il mondo terreno quante più sofferenze arrecava tanto più rendeva degni del mondo celeste. Le masse, che non avevano alcuna protezione sociale su questa terra, dovevano necessariamente sopportare tutto quello che si imponeva loro ed aspettare la fine della vita per avere il premio delle sofferenze patite. Dal momento però che i saggi del Rinascimento hanno insegnato agli uomini che il loro vero mondo è quello terreno e in esso soltanto devono procurarsi la felicità, questi hanno cominciato a volgere gli occhi sulla terra e a sentire questa come la loro vera casa. Da allora hanno cominciato a pensare che i loro problemi si pongono sulla terra e che sulla terra vanno affrontati e risolti, e in questa direzione si sono incamminati ed hanno impostato il loro procedere. La filosofia Neoscolastica con le soluzioni che propone, non è dunque adatta a risolvere i problemi sociali del nostro tempo. Se vorrà conseguire lo scopo che dice di prefiggersi, deve essere meno rigorosa, affrontare decisamente l’abolizione dei privilegi sociali e civili dovunque essi si manifestino, agire per incidere veramente su questa via. Ma allora dovrà mutare certamente molte delle sue concezioni dottrinali per non dire addirittura tutta la sua identità. La dignità umana va cercata in questo mondo in quanto è in questo mondo che gli uomini agiscono ed operano. In tal modo si può capire come siano da considerarsi inviolabili tanto il collettivo quanto l’individuo, perché appartenenti entrambi all’attività umana. Da ciò consegue che è assolutamente necessario dar corso ad un regime politico che concili le esigenze dell’individuo con quelle del collettivo. Bisogna fare in modo che il pubblico e il privato convivano insieme non tanto in posizione antagonistica quanto in posizione del reciproco stimolo. E questo deve avvenire in tutte le fondamentali attività dello Stato.


Si dirà forse che il mio pensiero si colloca nel paese di Utopia. Capisco che è abbastanza difficile indurre gli uomini al rispetto del pubblico e del privato ad un tempo. Assai spesso essi si sono esclusi a vicenda. Oggi però diventa una necessità la sua concreta traduzione in atto se si vuole che la pace e la serenità regnino nelle comunità umane più svariate. Gli avvenimenti politici del nostro tempo, assai carichi di pericolosa drammaticità, mi danno ragione pienamente. Urge l’impegno solerte e costante di ognuno affinchè non sfocino in irrimediabile tragedia. La politica è una cosa molto seria. E’ uno dei fatti che maggiormente deve impegnare la coscienza di ognuno di noi nella nostra qualità di cittadini facenti parte della comunità della nazione in cui viviamo e della città o del paese in cui risiediamo. Ecco la ragione per cui non è possibile non occuparci di politica, non partecipare al suo svolgimento. Gli uomini politici hanno il dovere di insegnarlo ai profani della politica, se davvero intendono svolgere in modo onesto la loro attività. La politica deve avere come scopo il governo degli uomini non per sottometterli, bensì per emanciparli sia nel campo materiale, facendo conseguire loro un tenore di vita sempre migliore, sia nel campo morale, indirizzandoli al rispetto di se stessi e degli altri, alla reciproca solidarietà e al mutuo soccorso ogni volta che le circostanze lo richiedano. Se tutto questo avverrà, si potrà dire che ogni uomo sarà diventato uomo ancor di più, poiché il senso dell’umano si sarà in lui notevolmente più sviluppato. Lo sviluppo dell’umano se per un verso porta al consolidamento del collettivo in forza della solidarietà che produce tra coloro che lo costituiscono, per un altro dà luogo all’affermazione consapevole dell’individuo nella pienezza della personalità. Se, come dicevo all’inizio di questa riflessione, la persona deve essere considerata non per la corrente politica a cui appartiene, bensì per la sua dignità di persona, è chiaro che non si può chiederle di rinunciare al suo ideale politico nemmeno per un istante. Non è quindi lecito che si chieda il voto ad un individuo, quando si sa che appartiene ad una corrente politica precisa, per l’elezione di uno che milita in una corrente politica diversa dalla sua. Questo significa commettere un atto di sopraffazione giacché colui che chiede il voto per essere eletto ad una qualsiasi carica politica, è sempre più rappresentativo di quello a cui viene richiesto il voto stesso. Si dirà che questo avviene sempre in nome dell’amicizia che lega colui che chiede il voto con colui a cui viene richiesto. E’ certamente un modo errato di intendere l’amicizia. Direi anzi che su questo terreno l’amicizia non può proprio fiorire. L’amicizia, per essere veramente tale, deve impostare un rapporto di eguaglianza tra le persone in cui si realizza. Essa nasce e si sviluppa come sentimento d’affetto disinteressato senza contropartita alcuna tra coloro che la instaurano: o meglio dire la contropartita deve consistere nel rispetto reciproco della propria dignità, nella solidarietà vicendevole, nelle sventure, nel mutuo soccorso nelle situazioni avverse. Se la politica è un fatto di coscienza, come ho cercato di dimostrare in tutta questa riflessione, chi chiede il voto ad un individuo per una corrente politica a cui tale individuo non appartiene perché aderente ad una corrente politica diversa, commette un atto di sopraffazione nei confronti di quell’individuo perché gli chiede di rinunciare alla propria coscienza, ossia alla parte migliore di se stesso. E questo non significa offrire ad una persona la propria amicizia, bensì calpestarne la dignità in quanto la si strumentalizza per realizzare i propri scopi. Disapprovo dal profondo del cuore questo modo di procedere in qualsiasi forma di rapporto tra gli uomini. In politica poi è ancora più biasimevole perché il potere manifesta con arroganza tutta la sua demoniaca capacità di oppressione. In questo caso la politica cammina in direzione opposta all’umanità, poiché umilia e mortifica gli uomini anziché elevarli.

Terminato di scrivere il 14 Agosto 1987.