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Il misticismo è un sentimento fortissimo. La ragione gli è estranea. Tende ad annullare l’individuo identificandolo con il tutto, o quantomeno, come avviene per il misticismo che alligna nell’ambito del Cristianesimo sommergendolo nel tutto.

Anche il collettivismo affoga l’individuo nella collettività. Ma ciò si attua nella socialità: ossia sul terreno dell’umano interrelazionale.

Il collettivismo sopprime la soggettività a vantaggio dell’oggettività, ma la soggettività non la dimentica mai. Anzi, avendo consapevolezza che essa possa di continuo risorgere, e magari prendersi la rivincita sull’oggettività distruggendola  o annientandola in maniera definitiva, sta sempre allerta,  pronto a reprimere la soggettività in ogni sua benché minima manifestazione.

Il misticismo, per contro, pone l’oggetto in una condizione tanto privilegiata da dimenticare persino l’esistenza del soggetto. L’oggetto non viene allarmato dal soggetto, come capita nel collettivismo. Il soggetto non lo impensierisce perché viene da esso incorporato o totalmente annullato. Perfino in quelle forme di misticismo personalistico, come, ad esempio, è quello proprio del cristianesimo, nel quale si tende a salvare la personalità individuale a tutti i costi, il soggetto vive dentro l’oggetto e in sua funzione anche se non si fonde mai totalmente con lui.

Nel misticismo l’individuo si annulla con un grande sforzo di volontà che egli stesso compie.

L’annullamento individuale nel misticismo si attua mediante la vita ascetica. E’ un elevarsi graduale che porta l’individuo ad immergersi nel tutto e ad identificarsi con esso.

La violenza che l’individuo subisce, quando pure ne subisce, non viene a lui causata dall’esterno, bensì dal proprio interno poiché è lui stesso che se la procura con l’impegno che pone nella volontà di annullasi come individualità.

Si è talvolta parlato di misticismo collettivo, di individui mistici che hanno indotto altri individui a percorrere la loro stessa via massificandoli, causando insensate tragedie come, ad esempio, suicidi collettivi. Secondo me, ciò non è affatto vero poiché il misticismo, quando è veramente tale, è un sentimento intimo proprio di ciascun individuo ed è incomunicabile ad altri individui. E poiché è un sentimento, il misticismo si sviluppa in maniere diverse per ogni singola persona, le quali risultano irripetibili in altre.

Il misticismo è dunque incapace di causare tragedie collettive. Quando queste sono avvenute, sono stati certamente sentimenti aberrati o addirittura  deviazioni psichiche ad averle provocate.

I mistici, secondo quello che riesco a capire della loro psicologia, non parlano di se stessi a scopo didattico, bensì a scopo descrittivo. Le loro esperienze non devono servire di modello a qualcuno perché le ripeta, ma devono essere semplicemente descritte e analizzate perché risaltino le loro caratteristiche. D’altro canto, essi sanno bene che non è dato a tutti il poterle compiere, in quanto per esse occorre un dono speciale che la grandissima maggioranza dell’umanità non possiede.


I mistici si pongono, senza dubbio, qualitativamente in un gradino diverso rispetto agli uomini comuni, né si può imitarli se non si hanno le loro qualità, allo stesso modo che non si è artisti, scienziati, filosofi ecc, se accanto alla preparazione adeguata, non si possiede il talento specifico.

Il misticismo è certamente un sentimento rispettabile, pur tuttavia non desta la mia ammirazione. Esso si diffonde nei periodi di tetra crisi nei campi più vari dell’agire umano. In alcuni tra i momenti più bui del Medioevo, mentre il sentire misticamente soggiogava le coscienze più elette, tutto languiva sul terreno delle azioni umane. Languivano le scienze, le arti, la politica, il diritto, la filosofia. E quando queste branche dell’umano sapere ripresero a vivere, il misticismo regredì, se non scomparve del tutto.

Esso fugge il mondo, frustra ogni iniziativa terrena e, concentrandosi nell’intimità per fondersi con il tutto, si disinteressa dei diversi, ne si preoccupa delle sofferenze di alcuno fuorché di colui che vive quel sentimento. Il suo fondamento è, in definitiva, l’aristocraticismo. Per conto mio, preferisco un sentimento meno nobile, forse, ma certo è più efficace da punto di vista umano: quello della solidarietà. Con esso non solo l’io riconosce il tu, ma rispetta la dignità e ne allevia le sofferenze, ma si pone sul piano di parità condividendone gioie, dolori e sacrifici. Il rapporto che imposta, non si basa sulla carità pietistica, ma sul sacrosanto diritto.