E’ meglio essere ricchi o essere poveri ?

Lo so che porsi un simile dilemma è rasentare la follia. E chi mai vorrebbe essere povero e non ricco? Pensandoci bene, mi pare che si pecchi di superficialità se si desse la risposta che si presenta più ovvia. Forse è doveroso rifletterci sopra più di quanto non si pensi.

La povertà porta con se la miseria, l’impotenza, la frustrazione, la mancanza di libertà, l’obbedienza, il piegare la schiena al volere degli altri. La ricchezza, per contro, elimina questi inconvenienti, o almeno così si crede.

Ma davvero chi è ricco è in grado di dormire sonni tranquilli ed è esente dagli inconvenienti che abbiamo notato nella povertà? A me pare no.

La ricchezza comporta molta attenzione da parte di chi la possiede. Essa va continuamente sorvegliata e amministrata con capacità, altrimenti può dissolversi in un baleno. Il ricco è assillato da questa preoccupazione. Inoltre gli rode dentro il tarlo di trovare sempre il modo di aumentarla. Non vede altro nella vita che questo. Il denaro è ciò che gli sta continuamente davanti agli occhi e con esso il tormento di aumentarlo.

E’ vero che chi ha molto denaro, comanda, è padrone di recarsi dove gli pare, è accompagnato dalla riverenza. Ma quanta ipocrisia gli sta attorno! Egli sa che se cadesse in bassa fortuna, tutti sarebbero pronti ad abbandonarlo, a giurare di non averlo mai conosciuto. E non è dubbio che questo lo tenga su le spine. Il fatto è che anche la ricchezza, alla stessa stregua della povertà, non concilia il sonno.

La povertà è apportatrice di privazioni, di desideri mancati, di sogni irrealizzati. Ma la ricchezza quando è vissuta con intenti accumulativi, è una vera e propria nullità per chi la detiene. Infatti se non è usata allo scopo di procurare agi e comodità, non serve a nulla; e, lungi dall’arrecare felicità, è dispensatrice di pena.

Il fatto è che la ricchezza è un bene materiale che, se usato nel modo giusto, procura giovamenti spirituali, quali la soddisfazione di soccorrere i bisognosi, la libertà di disporre di se stessi e di dedicarsi alle attività che si ritengono più confacenti. Ma se usata in modo sbagliato, genera vizi deprecabili, come l’avidità sfrenata di guadagno, l’avarizia, l’arroganza, la superbia, ecc. In questo caso, il ricco non gode di apprezzamento e di stima presso nessuno. Al contrario, il povero è ammirato proprio per la vita umile che conduce e per i grandi sacrifici a cui giornalmente è costretto; così che i pochi amici che ha sono veri e gli dimostrano la loro  amicizia proprio nei momenti in cui egli ha maggior bisogno. Il ricco amici ne ha molti, ma sono finti, e, quando ha bisogno di loro, non se li trova vicini.

A conti fatti, come si suol dire, l’essere poveri o l’essere ricchi impone incombenze gravose, la sopportazione delle quali risulta differente da individuo a individuo. La situazione migliore, in teoria, consisterebbe nella via di mezzo. Ma in pratica, io penso che, tutto è subordinato alla accettazione della condizione di ciascuno di noi.