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Per ragioni di età scolare, le mie lezioni sono rivolte a ragazzi che vanno dai 16 ai 19 anni: quando sono cioè nella piena adolescenza. Ed è chiaro che questo mi è sempre presente nel senso che faccio di tutto per adattarle alle loro caratteristiche psicologiche.

Gli adolescenti, come ci insegna la psicologia evolutiva, vivono una vita psicologica piena di contrasti. La forza dell’immaginazione tende ad attenuarsi rispetto alla fanciullezza poiché cede il passo alla ragione, alla riflessione del pensiero puro, al logicismo formale. Questa è l’età in cui si sviluppa il senso critico, in cui i ragionamenti deduttivi vogliono essere indipendenti da ogni influenza esterna. Ma è anche l’età in cui sorgono gli interessi sociali, razionali, estetici, morali e religiosi. Una grande ammirazione viene diretta ai personaggi della politica, della letteratura, dell’arte, della scienza, della filosofia e della religione. Tali personaggi rappresentano, per gli adolescenti, degli idoli da imitare ed eguagliare. Nelle mie lezioni cerco di soddisfare e di alimentare questi interessi dei miei alunni dettati in loro dalla natura, convinto che, in certe circostanze, la natura deve essere sommamente assecondata. Le mie esposizioni sono ampie ma mai conclusive poiché non intendo togliere agli allievi la possibilità di nuove elaborazioni o creazioni personali ed originali. Ed esse non sono piatte ed uniformi, ma critiche, vive, infiorate di aneddoti e di battute scherzose per alleggerire e rendere meno arida la materia trattata. Nonostante ciò mi preoccupo di non essere dispersivo e mi attengo strettamente all’osservanza del criterio logico, conscio del fatto che solo così gli alunni possono avere chiare nella loro mente la filosofia e la storia. Il metodo scientifico è la base di ogni mia operazione culturale. In storia mi attengo ai fatti, ma cerco di evidenziare i motivi e le cause che li hanno originati, nonché le conseguenze che ne sono scaturite. Dimostro che la storia non serve soltanto a conoscere il passato, bensì anche a lumeggiare il presente, che del passato è figlio diretto, e ad orientare il nostro futuro. Studiando infatti attentamente le azioni di coloro che ci hanno preceduto, noi possiamo sperare di produrne delle migliori e di evitare tanti errori fatali che essi hanno commesso. Se questo spesso non avviene, è perché appunto non si studia la storia con la dovuta ragionevolezza. Sono d’accordo con Nietzsche che alla storia non bisogna piegare la schiena perché, in tal modo, finiremmo per cadere in balìa del passato e perderemmo la nostra capacità di agire. Ma non sono d’accordo con lui nel considerarla una “malattia” dannosa per cui è opportuno sconsigliarne lo studio. Ritengo anzi che lo studio della storia sia uno degli aspetti più formativi della cultura e sia un aspetto tra quelli che maggiormente agiscono nello sviluppo del genere umano sia nel bene che nel male. Molteplici sono le argomentazioni che potrebbero essere addotte a favore della mia tesi, ma esulerebbe da questo scritto il farlo.

In filosofia, mi preoccupo di far vedere come i filosofi siano aderenti alla realtà del mondo in cui sono vissuti e hanno operato; come le loro opere riflettano i problemi del loro tempo; come le loro non siano dispute esclusivamente accademiche fatte di belle parole, di abili cavilli e capziosità dialettiche lontane dal senso comune della realtà, ma come essi vadano disperatamente alla ricerca della soluzione dei più gravi problemi che l’umanità deve affrontare nella sua ardua e combattiva esistenza. E se la soluzione di tali problemi nessun filosofo l’ha trovata finora, ciò non segni il fallimento della loro azione ma anzi la sua necessità.