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Una volta chiarita la necessità esistenziale del soggetto e dell’oggetto per la concretezza della realtà, e come siano accadute nell’astrazione metafisica tutte quelle filosofie che hanno negato l’uno o l’altro, si può impostare il problema della conoscenza.

Perché ci sia conoscenza, è necessario che soggetto ed oggetto siano posti in sistematica relazione tra loro, cosicchè le variazioni che subisce l’uno trovino riscontro nell’altro. Chiaro è che il soggetto costituisce il conoscente, l’oggetto il conosciuto. Il soggetto è il termine attivo ed intelligente, l’oggetto è passivo e non intelligente. Il soggetto esprime dominio, l’oggetto soggezione. Solo ciò che si conosce si può dominare. 

Il conoscere tuttavia è un processo in continua evoluzione e non qualche cosa di fisso e di acquisito una volta per tutte. Perciò non è concepibile che le modifiche che si verificano nell’oggetto, a loro volta non mutino il soggetto che pure le ha operate. Conoscere una cosa vuol dire avere la possibilità di operare su di essa, quindi poterla trasformare secondo criteri che si decidono. Questo, per inteso, si può affermarlo in teoria, in pratica spesso avviene altrimenti.

L’esperienza, considerata nel senso più ampio possibile, ce lo dimostra ad ogni piè sospinto. Ciò è dovuto al fatto che il nostro conoscere si muove nell’ambito del relativo ed è naturalmente destinato a non uscire mai da esso. La problematicità quindi non può che essere la sua caratteristica costante.

Ma è vero che conosciamo solo ciò facciamo, come dicevano Hobbes e Vico ?

Questa posizione è certamente vera. È però altrettanto vero che non si può ridurre la conoscenza esclusivamente ad essa. La sua interpretazione risulterebbe troppo ristretta. Nessun dubbio che il vero sapere consista nel conoscere le cause: e nessuno meglio di noi è in grado di conoscere ciò che fa. Però è altrettanto indubitabile che siamo in grado di conoscere anche ciò che non strettamente è prodotto da noi. L’importante è che esso ci risulti comprensibile, afferrabile, e, di conseguenza, in grado di essere da noi dominato, o quantomeno constatato e penetrato. Non deve essere l’uomo autore delle proprie malattie, ad esempio, perché egli debba poterle diagnosticare e conseguentemente curare. Allo stesso modo, non deve essere il costruttore delle montagne o il creatore dei mari perché li possa conoscere. Basta che egli li esplori con massima cura per raggiungere lo scopo. D’altra parte, non rientra neppure nelle certezze assolute, anche perché di assoluto nel campo umano non c’è nulla, il fatto che tutto ciò che è fatto da noi non sia da noi conosciuto con certezza. Qualche volta capita anche il contrario: specialmente nel campo dell’Arte si manifestano le prove che confermano la mia tesi.

Un artista, obbedendo all’impulso della propria ispirazione, crea un’opera che non è stato in grado di prevedere, né gli riesce facile esprimere su di essa un giudizio sicuro. Spesso la crede un’opera di grande valore, mentre è di modesta levatura artistica. Altre volte crede di aver realizzato un’opera assai misera, mentre magari è proprio quell’opera la più grande che egli ha fatto ed alla quale è affidata la sua immortalità presso i posteri. E’ quanto è accaduto a Francesco Petrarca, il quale stimava il” Canzoniere” “una cosa da nulla”, e il poema sull’”Africa” un capolavoro da cui gli sarebbe derivata una fama imperitura presso i posteri. E’ avvenuto, come si sa, esattamente il contrario. Certamente nessuno stimerebbe il Petrarca uno dei nostri maggiori poeti se avesse scritto soltanto il poema sull’”Africa”, e giammai il “Canzoniere”, al quale appunto si ascrive, con giusto merito, la sua grandezza poetica.