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Le dottrine sociali, recepite ormai anche dagli strati più infimi delle masse perché hanno cambiato totalmente il loro tenore di vita nonché la loro concezione del vivere, risultano indelebili. E nessuna forma di neoliberalismo risorgente dalle proprie ceneri come l’araba fenice, è destinata ad avere successo. Si dice da parte di alcuni che le pretese delle attuali dottrine sociali sono assurde poiché esigono più di quanto la collettività può disporre. Le risorse del nostro pianeta non basterebbero per esaudire le pretese di tali dottrine. Nessun sistema economico sarebbe in grado di farvi fronte. Questi signori sono gente in malafede. Si può e si deve essere d’accordo con gli studiosi di demografia che avvertono la necessità di limitare le nascite perché, continuando di questo passo, nel Duemila saremmo circa sette miliardi di esseri umani e le risorse alimentari non saranno sufficienti per sfamare tante bocche: ma non si può essere d’accordo con coloro che vorrebbero riportare le cose indietro, facendo girare la ruota della filosofia sociale al contrario di come ha girato in questi ultimi decenni. Nessuno può illudersi tuttavia che non sia necessario cambiare rotta. La strada praticata finora si è rivelata ormai non più percorribile. Ma quale strada è necessario imboccare? Questo è un interrogativo difficile a cui per la verità non è facile dare risposta. L’inflazione sta sommergendo il mondo. Essa è un cancro che finisce per distruggere la sanità dell’economia. E allora, addio sistema sociale valido e ordinato. Come si può uscire da essa? I pareri sono abbastanza discordi perché ogni soluzione proposta porta con se un rovescio di medaglia duro da trangugiare. Finora si è praticata o una politica fiscale, o una politica monetaria, nel senso che si è badato a ridurre le spese preventive, riducendo così l’intervento dello Stato nei pubblici servizi e imponendo un aumento delle tasse, oppure si è ridotto il fondo proveniente dalle banche con l’artificio di alzare il tasso di interesse per chi contraesse con esse debiti. I risultati però non sono stati positivi. Diremo anzi che le cose si sono aggravate in quanto l’inflazione ha continuato a salire.

I provvedimenti presi finora, essendo stati soltanto di carattere monetario, hanno causato dal punto di vista sociale più guai che rimedi. Nei paesi, dove la politica fiscale e quella monetaria sono state praticate senza voler offendere il sociale, tutto è rimasto come prima. Si è registrato un aumento delle tasse, un aumento dei prezzi e dei salari, una svalutazione dei risparmi, una perdita di capacità di acquisto dei redditi fissi, un buon guadagno da parte dei commercianti e degli industriali e soprattutto una enorme evasione fiscale. Il nostro paese, secondo il parere dei più autorevoli studiosi di economia, rischia di uscire dalla rosa dei paesi sviluppati per cadere tra quelli del terzo mondo, proprio per avere praticato – in modo piuttosto maldestro – esclusivamente una manovra monetaria. L’inflazione ha minato seriamente le sue basi economiche e la salvezza dal crollo irreparabile può venirgli solo da una intensa terapia d’urto. Ma anche nei paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti, dove la politica monetaria ha sortito certi effetti positivi nei confronti dell’inflazione, riuscendo a ridurla anche notevolmente, la situazione economica generale non ha guadagnato molto. La disoccupazione è cresciuta in modo vertiginoso, la produzione si è ridotta drasticamente e la crescita economica è rimasta a zero. Tutto sommato, il ristagno è stato presso che totale. Dal punto di vista umano poi una simile politica non vale proprio la pena di praticarla, e le reazioni negative già cominciano a farsi sentire con proteste piuttosto serie. Fino ad oggi, come mostrano vari momenti storici in cui si è dovuto ricorrere a mezzi drastici per vincere le crisi inflative, l’inflazione è stata superata a spese delle masse popolari sottoponendole ai sacrifici più esosi. Ma queste, come ho dimostrato più sopra, hanno ormai preso coscienza della loro dignità umana e del peso sociale che sono in grado di esercitare nelle rispettive comunità nazionali ed anche a livello mondiale per cui non sono disponibili ad accettare il ruolo che i capitalisti vorrebbero loro imporre e già minacciano tempesta nel caso si volesse continuare ad insistervi. Non si è ancora tentato alcun esperimento col praticare la politica sociale e questa mi sembra l’unica possibile per ridurre, se non proprio per fermare, l’avanzare nefasto dell’inflazione. Bisogna però praticarla in tutta la sua ampiezza, e non limitarsi a ricorrervi in modo generico come, ad esempio, bloccando ufficialmente i prezzi e i salari. Qualora infatti si ricorresse ad un generico blocco di prezzi e salari e non si tirassero tutte le conseguenze che un tale provvedimento implicherebbe, resterebbero sicuramente bloccati soltanto i salari mentre i prezzi troverebbero sempre il modo di aumentare non foss’altro che facendo diradare le merci ed esasperando coloro che ne hanno bisogno, predisponendoli a comperarle al mercato nero a qualunque prezzo venissero loro proposte. Si aggiunga poi che il blocco dei salari colpirebbe soltanto i lavoratori dipendenti, lasciando fuori dal suo campo tutti i lavoratori in proprio, gli imprenditori e i liberi professionisti, nonché tutta una serie di cittadini che risulterebbe anche difficile da enumerare. La politica sociale, dunque, resta, a mio avviso, l’unica praticabile non solo per fronteggiare con probabilità di successo l’inflazione in ogni paese e a livello internazionale, ma anche per dare un riassetto all’economia mondiale in genere che, in questi tempi, non gode certamente di ottima salute. Il punto più arduo però resta il modo in cui la politica sociale dovrebbe essere praticata.

I detentori del potere economico, e con essi anche la maggioranza di coloro che detengono il potere politico, giacché è condizionata quasi sempre totalmente dai primi – in quanto il potere economico determina notoriamente il potere politico -, difficilmente accettano l’adozione di un modo nuovo di fare economia e tentano, fino a quando risulta loro possibile, di condurla in senso tradizionale perché ha fatto in ogni epoca la loro fortuna e causato privazioni e sofferenze ai più deboli, ma dei quali agli affaristi dell’economia non è mai importato nulla. Se tuttavia non si vuole arrivare ad uno scontro drammatico tra ricchi e poveri, è assolutamente necessario invertire la rotta attuale. Ma come procedere in concreto? Io non sono uno studioso di economia politica; tuttavia sento ugualmente il dovere di esprimere il mio punto di vista al riguardo poiché, contrariamente a quanto si è creduto finora e come ancora credono i più, la crisi economico-sociale che travaglia il nostro tempo non può essere risolta con i canoni della scienza economica soltanto, sebbene non si voglia negare l’importanza capitale che essi possono avere, bensì con un radicale mutamento di cultura, di mentalità e di comportamento.