Indice articoli

 

Il problema, dunque, è più filosofico di quanto non si voglia credere. Innanzitutto va precisato che l’inflazione non è che un aspetto della grave crisi economico-sociale che pesa su tutti i sistemi economici del mondo, anche se appare particolarmente grave nel mondo occidentale dove più che altrove vige il sistema economico capitalistico tradizionale. Il sistema economico capitalistico, come è risaputo, si è formato con una notevole produzione di ricchezza e la sua concentrazione nelle mani di un’elite di fortunati, che ha dato luogo alla borghesia capitalista. Lungi da me l’idea di non volere riconoscere i grandi meriti che la borghesia ha saputo conquistarsi lungo i secoli. Essa ha realizzato opere assai grandiose che la nobiltà terriera e latifondista non ha mai pensato che si potessero compiere. Il suo stesso sorgere e il successivo affermarsi sono un capolavoro di ardimento e di capacità geniale. Sotto il suo impulso si è attuata la Rivoluzione commerciale, da cui è derivata poi la civiltà mercantile e successivamente quella industriale, che è la forma di civiltà più perfetta che l’uomo ha saputo creare finora. La civiltà industriale, nei suoi primi tempi, si è costituita sulla sofferenza dei diseredati. La nascita e lo svilupparsi delle macchine, che sono stati lo strumento fondamentale della sua affermazione, hanno creato un esercito di sofferenti. I grandi capitali di industria di allora hanno pensato di sfruttare il più possibile i subalterni per ricavarne grandi cumuli di ricchezza. La loro teoria era quella di ottenere il massimo concedendo il minimo. Avvenne così che si licenziarono gli operai specializzati e tutta la manodopera maschile, che avevano il torto di essere troppo costosi, secondo il punto di vista degli industriali dell’epoca, bensì assunsero nelle fabbriche i fanciulli e le donne che venivano pagati con salari irrisori, mentre si imponeva loro orari massacranti. Si pensi che in alcune fabbriche i fanciulli di nove o dieci anni erano costretti a lavorare anche per sedici ore senza interruzione. Questi poveri bambini, sfiniti dalla stanchezza, dormivano talvolta all’impiedi procurandosi incidenti che, quando non li portavano direttamente alla morte, li lasciavano orribilmente mutilati; e i padri assistevano impotenti alla morte e alla tortura dei figli, limitandosi a sperare di poterli sostituire nel lavoro e di tenerli nelle loro pur malsane case. Ma a loro risultava una speranza vana giacché gli industriali non si facevano commuovere dalle sventure dei figli e delle mogli dei poveri proletari, e li lasciavano a marcire nella loro disoccupazione pur di incrementare le loro ricchezze.

La mentalità dei capitani d’industria del secolo scorso non è del tutto scomparsa negli industriali dei giorni nostri. Ma gli operai attuali non sono certo i proletari dell’Ottocento. Oggi la classe operaia possiede nel suo insieme mille strumenti per difendersi ed è in grado pienamente di reggere il confronto con la classe padronale e persino di fare il “braccio di ferro” con lei. Questo almeno nei paesi industrializzati. Nei paesi sottosviluppati e in quelli in via di sviluppo il potere politico delle masse è infimo, mentre quello economico non esiste affatto. Il tenore di vita è assai basso e frequentissime sono le morti per fame. I circa diciotto milioni di bambini che ogni anno perdono la vita per fame risiedono in questi paesi. Tuttavia anche in essi qualcosa sta cambiando. La classe dirigente di quei paesi formatasi nelle università europee o in quelle americane ha ormai posto all’attenzione universale il problema dell’emancipazione dei propri popoli, e, quel che più conta, è riuscita a far penetrare questo problema nell’anima delle masse che governa, inducendole a chiedere con forza la soluzione di un tale problema.

Se, dunque, si vuole davvero evitare uno scontro sociale di portata universale, è opportuno che le classi dirigenti dei paesi industrializzati smettano di bleffare nei confronti delle classi subalterne e si mettano decisamente a collaborare con esse rinunciando al loro tradizionale egoismo, perché soltanto così si potrà sperare in un superamento della crisi che grava inesorabile sul mondo intero. Cosa occorre fare? Tutti gli strati sociali devono spartirsi, a qualunque società appartengano, in misura equa sacrifici e sollievi giacché non è ormai più concepibile che siano ancora i più deboli a pagare da soli i disastri sociali dei quali, per giunta, proprio loro sono i meno colpevoli. Perché ciò avvenga, è assolutamente necessario tradurre in pratica alcuni principii teorici. In primo luogo, si deve distribuire in modo più equo le ricchezze che vengono realizzate nel mondo. I popoli più fortunati devono far parte delle loro fortune ai popoli meno fortunati. I paesi industrializzati devono aiutare i paesi sottosviluppati e quelli in via di sviluppo a emanciparsi non solo dallo spettro terribile della fame, ma anche dalla arretratezza morale e civile, sicché quei popoli raggiungano in pieno la propria identità che, rispettando la loro dignità di esseri umani, li faccia essere popoli tra i popoli. In secondo luogo, si devono evitare gli sprechi. La società industriale ha fornito ai suoi componenti grandi forme di benessere, facendo sorgere bisogni assai artificiali, che non trovano un giusto riscontro nella conduzione di una vita comoda ed agiata. Senza pretendere di mettere in pratica i suggerimenti etici di Epicuro, secondo il quale era saggio attenersi strettamente ai bisogni naturali, dobbiamo necessariamente rinunciare a comodità indubbiamente superflue se vogliamo evitare di essere travolti dalla crisi gravissima che la società industriale stessa ha creato. In terzo luogo, bisogna che le tassazioni colpiscano veramente coloro che possiedono. E’ noto che fino ad oggi non è stato realizzato questo criterio che dà corso non solo ad una equità distributiva della ricchezza nell’ambito della comodità, bensì anche ad un saldo principio etico per cui viene evitata quella forma di frode sociale che è l’evasione fiscale. Il fattore economico nel sistema capitalistico tradizionale ha dominato lo Stato a suo piacimento, alienandolo quindi dalle sue funzioni di ordinatore e regolatore dei vari poteri che lo costituiscono. Se infatti lo Stato è il punto di riferimento per una determinata società, quando questo sia democratico – come del resto ha sempre preteso di volerlo il sistema economico capitalistico, non può essere egemonizzato dalla sua componente economica a detrimenti delle altre componenti, quali ad esempio: la politica, la culturale, la morale, la giuridica, la religiosa, ecc.. In quarto luogo deve essere valorizzata la competenza. Troppe persone, o per motivi clientelari, o per intrighi che hanno combinato, o per una certa eccessiva arrendevolezza della società, o per una certa illusione organizzativa della società stessa, o per un insieme di circostanze fortunate, che sarebbe meglio degno definire fortunose, si trovano ad occupare posti anche di alta responsabilità di cui non hanno la benché minima competenza. E così svolgono il loro lavoro in maniera confusa ed arruffata a scapito di tutta la comunità sociale. Questa deformazione, perché di deformazione veramente si tratta, si è verificata da un decennio a questa parte specialmente nel settore pubblico.

… continua