I valori non sono in assoluto ne soggettivi ne oggettivi, ma scaturiscono da un incontro della soggettività e della oggettività di cui è costituito il Reale. Fuori dalla coscienza del soggetto esiste certamente una struttura gerarchica di esseri e di idee, che la coscienza è costretta a tenere in considerazione quando esprime i suoi giudizi di valore. Essa non può non riconoscere che una ameba è meno complessa di una pecora e che questa, a sua volta, è meno complessa di un primate superiore e che l’uomo è più complesso di qualunque primate. Questo fatto non lo si può certamente negare dal momento che la teoria dell’evoluzione ne ha dimostrato la sua incontrovertibile scientificità. Allo stesso modo la coscienza dovrà riconoscere che l’ignoranza occupa, secondo il criterio della ragione, un gradino inferiore rispetto alla cultura. E così giudicherà del disordine rispetto all’ordine, della disarmonia rispetto all’armonia, dell’oscurità rispetto alla chiarezza, del male rispetto al bene, e così via. Qualcuno, a questo punto, si sentirà certamente in dovere di pensare che, così discorrendo, si è tornati a considerare come valida la teoria dei valori formulata dai pensatori dell’Antichità Classica e del Medioevo. Infatti l’uomo accettava, in quei tempi, la struttura gerarchica dei valori senza discutere, conscio che la sua ragione non era in grado di modificarla. Ma io non intendo affatto rinnegare le conquiste del pensiero moderno contraddicendo ciò che ho affermato più sopra secondo cui non può essere considerata valida una teoria dei valori che l’uomo non ha contribuito a formulare. Perciò quando dico che la coscienza umana, esprimendo un giudizio di valore, è costretta a prendere atto che un’ameba, data la sua semplicità costituzionale, vale meno, secondo il criterio seguito dalla ragione, di un primate superiore e questi, a sua volta, vale meno dell’uomo in forza della maggiore complessità che lo caratterizza, non sostengo che l’uomo non prende parte attiva nel formulare il giudizio e che il suo atto di giudicare non incide nell’espressione del valore, ma soltanto non la determina totalmente, perché anche il dato esterno alla coscienza esercita in lei un indubbio condizionamento. Ma il condizionamento dell’uomo da parte del dato esterno lo ha riconosciuto e ritenuto inderogabile Kant nell’operare la sintesi a priori, con la quale l’attività del soggetto umano ha ottenuto la somma valorizzazione nel campo conoscitivo. Io sono certo, col mio modo di dibattere la problematica dei valori, di essere in linea col pensiero conoscitivo di Kant. E ciò mi rende sicuro di essere sulla strada giusta. Il fatto però che la coscienza venga condizionata dal dato esterno, non significa che essa sia assoggettata a questo e che nulla possa nei suoi confronti. Tutt’altro. Pur con tutti i suoi limiti, la coscienza possiede una capacità di intervento attivo sul dato esterno, che la rende adeguata a manipolarlo e ad elaborarlo, elevandolo in senso spirituale quando esso le si ponga dinanzi sotto le vesti della materialità, e a trascendentalizzarlo quando le si presenti sotto le spoglie della trascendenza. In questo senso, pur avendo un certo fondamento metafisico, - poiché la coscienza, nel formularlo, non può fare a meno di avvertire la necessità di riferirsi a qualche cosa che la trascende e che giammai potrà incorporare in se stessa - i valori risultano pienamente espressi dall’uomo. Infatti senza il suo intervento volontario e volitivo di apprezzamento e di qualificazione, essi non hanno alcuna sussistenza.
I valori tra attualità e idealità.
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