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In un regime democratico i cittadini godono della massima libertà. Quando ciò non avviene, vuol dire che la democrazie non vige. E’ chiaro quindi che tutti quei regimi politici, che si proclamano democratici e sopprimono la libertà nelle varie forme, si fregiano di un titolo che a loro non appartiene. È opportuno però puntualizzare il senso della libertà, che è propria dei cittadini in uno Stato democratico affinchè essa non venga scambiata con una condizione di disordine o con uno stato di anarchia.

Essere liberi significa non sottostare a costrizioni di nessun genere. Tale definizione di libertà risulta troppo generica e non è possibile tradurla in pratica. Infatti dice tutto sulla condizione di chi è libero, ma, nello stesso tempo, non dice niente. Nessun individuo può avere una libertà assoluta poiché, accanto a lui, ci sono gli altri che hanno necessariamente le sue stesse prerogative. L’individualità si afferma soltanto perché esiste l’alterità. Non si può parlare di un Io se non ci si riferisce a un Tu. Ne consegue che la nostra libertà è tale perché limitata dalla libertà degli altri. Infatti noi, per essere liberi, abbiamo dovuto rinunciare a quel tanto di libertà nei confronti degli altri, che gli altri hanno rinunciato nei nostri confronti. In tal modo è potuta sorgere la comunità sociale che ha richiesto, come suo fondamento, a ciascun componente di mettere a disposizione della comunità quella parte di se stesso che, pur senza fargli perdere la propria individualità, lo obbligasse a riconoscere la propria relatività. Gli individui sono, dunque, obbligati a riconoscere, come qualcosa che li trascende, il collettivo: ma questo, a sua volta, non può disconoscere l’individualità se non vuole abbattere i pilastri che lo reggono.

L’esperienza, fin dalla Preistoria, ci attesta che l’individuo come entità assestante è sorto prima della collettività e che anzi è stato lui a costituirla. Porre tuttavia, la questione quale tra i due sia più importante e debba prevalere, è assolutamente fuori luogo poiché entrambi hanno garantita l’esistenza esclusivamente dal fatto che si riferiscono l’uno all’altra. L’individuo e il collettivo devono convivere in armonia e in equilibrio. Sappiamo tutti quanto l’uno e l’altro siano tentati dal desiderio di sopraffazione. Ma è, appunto, questo che deve essere impedito ad ogni costo e con ogni mezzo.


Ci sono, nella vita dell’umanità, dei momenti in cui, nell’ambito di una comunità sociale, prevale il collettivismo ed altri in cui prevale l’individualismo. La storia ci ha insegnato che la prevalenza dell’uno o dell’altro è stata – e la cosa non è da escludersi nemmeno oggi – anche abbastanza opportuna, considerata la situazione esistenziale in cui si è venuta a trovare tale comunità. Ma quello che appare di estrema importanza, è che tale prevalenza non venga elevata a sistema. Voglio dire che essa non deve diventare una categoria meta empirica eternamente valida per ogni situazione, ma deve essere considerata come empirica e transeunte, che muta col variare delle circostanze.

Una volta affermata la necessità dell’autonomia esistenziale degli individui, non può certo essere negata la loro diversità di intenti. Gli individui, nell’ambito in cui la condizione possibile della libertà lo consente, operano le proprie scelte di vita, la quale ovviamente si traduce in modi di pensare e di sentire, di comportarsi e di organizzarsi. In tal modo nascono i partiti, le associazioni e le organizzazioni di vario genere che riguardano i diversi aspetti della realtà. Tutto questo, ben s’intende, è normale e legittimo in un regime democratico, dove non si pretende nemmeno che tali associazioni ed organizzazioni subiscano dall’esterno la benché minima interferenza. A questo punto, però, bisogna precisare che, se è logico che esse debbano avere la totale autonomia da parte della comunità sociale in cui sono sorte, non hanno tuttavia il diritto di dissolvere la stessa comunità con i loro interessi particolari e le loro pretese egoistiche. Non possono pretendere di trattare la comunità, cui appartengono, diversamente da come esigono di essere trattate da questa. Ciò equivarrebbe a chiedere che la legge debba essere scrupolosamente osservata nei loro confronti, pur concedendosi, esse, di vivere fuori dalla legge. Tale atteggiamento genera nella comunità l’incoerenza dei suoi componenti che, quando viene estremizzata, porta all’inesorabile dissoluzione della comunità stessa. E’ chiaro che la democrazia non può consentire quella incoerenza, in quanto il suo stesso esistere verrebbe a mancare. Pur senza togliere la libertà ai componenti, il regime democratico, se intende vivere e fiorire, è costretto a chiedere ai suoi componenti di non venir meno ad un criterio di orientamento comune, che si esplica in un comune sentire e pensare. E nessuno, credo, può gridare per questo allo scandalo, giacchè la democrazia non viene abolita, ma vigorosamente affermata.