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Ci sono, nella vita dell’umanità, dei momenti in cui, nell’ambito di una comunità sociale, prevale il collettivismo ed altri in cui prevale l’individualismo. La storia ci ha insegnato che la prevalenza dell’uno o dell’altro è stata – e la cosa non è da escludersi nemmeno oggi – anche abbastanza opportuna, considerata la situazione esistenziale in cui si è venuta a trovare tale comunità. Ma quello che appare di estrema importanza, è che tale prevalenza non venga elevata a sistema. Voglio dire che essa non deve diventare una categoria meta empirica eternamente valida per ogni situazione, ma deve essere considerata come empirica e transeunte, che muta col variare delle circostanze.

Una volta affermata la necessità dell’autonomia esistenziale degli individui, non può certo essere negata la loro diversità di intenti. Gli individui, nell’ambito in cui la condizione possibile della libertà lo consente, operano le proprie scelte di vita, la quale ovviamente si traduce in modi di pensare e di sentire, di comportarsi e di organizzarsi. In tal modo nascono i partiti, le associazioni e le organizzazioni di vario genere che riguardano i diversi aspetti della realtà. Tutto questo, ben s’intende, è normale e legittimo in un regime democratico, dove non si pretende nemmeno che tali associazioni ed organizzazioni subiscano dall’esterno la benché minima interferenza. A questo punto, però, bisogna precisare che, se è logico che esse debbano avere la totale autonomia da parte della comunità sociale in cui sono sorte, non hanno tuttavia il diritto di dissolvere la stessa comunità con i loro interessi particolari e le loro pretese egoistiche. Non possono pretendere di trattare la comunità, cui appartengono, diversamente da come esigono di essere trattate da questa. Ciò equivarrebbe a chiedere che la legge debba essere scrupolosamente osservata nei loro confronti, pur concedendosi, esse, di vivere fuori dalla legge. Tale atteggiamento genera nella comunità l’incoerenza dei suoi componenti che, quando viene estremizzata, porta all’inesorabile dissoluzione della comunità stessa. E’ chiaro che la democrazia non può consentire quella incoerenza, in quanto il suo stesso esistere verrebbe a mancare. Pur senza togliere la libertà ai componenti, il regime democratico, se intende vivere e fiorire, è costretto a chiedere ai suoi componenti di non venir meno ad un criterio di orientamento comune, che si esplica in un comune sentire e pensare. E nessuno, credo, può gridare per questo allo scandalo, giacchè la democrazia non viene abolita, ma vigorosamente affermata.