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Seguendo questa strada rischiamo di fare notevoli passi indietro sulla via della civiltà, avviandoci verso un ritorno alle barbarie, anziché innalzarci alle vette luminose della spiritualità, nelle quali lo spirito umano risulta sempre più moralmente affinato. Non è questa certamente la cultura che dobbiamo seguire. Capisco quanto sia comodo e piacevole condurre una vita agiata in cui i nostri desideri trovano appagamento senza eccessiva fatica. Ciò significa essere sempre sereni e non avere avversità da superare. Il benessere, nei suoi diversi aspetti, è la base di una simile vita; e non c’è dubbio che esso sia uno dei valori di somma importanza. Sappiamo che il suo perseguimento ha consentito alla vita di allungarsi in maniera notevole. Se si pensa che nei Paesi industrializzzati la vita media ha raggiunto l’età di settantasette anni e mezzo per le donne e settantadue per gli uomini, dico che possiamo ben rallegrarci, soprattutto quando riportiamo la nostra mente al Medioevo, nella quale la totale mancanza di qualunque forma di benessere fissava la media della vita all’età di ventiquattro anni. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che, se la conservazione della vita umana è considerata uno tra i valori supremi nei Paesi industrializzati, la stessa cosa deve valere nei Paesi sottosviluppati. Non pare però che gli abitanti dei Paesi sviluppati siano sensibilizzati in tal senso. Si sa infatti che nei Paesi sottosviluppati muoiono di fame oltre 19 milioni di bambini all’anno. I mass-media ne diffondono la notizia; ma nessuno se ne dà molto pensiero. Anzi, ad onor del vero, ora pare che i governi industrializzati si comincino a preoccupare dei problemi gravi che stanno affliggendo i Paesi in via di sviluppo. Si parla, con notevole frequenza di voler condonare gli enormi debiti che questi hanno contratto con le banche dei Paesi Occidentali per assicurarsi un minimo di sopravvivenza. Purtroppo la preoccupazione dei Paesi industrializzati per i Paesi in via di sviluppo non è dettata da un senso di umana solidarietà, bensì da una strategia politica. Essi, infatti, si stanno rendendo conto che i Paesi in via di sviluppo non accettano più di essere considerati come Paesi subalterni sulle cui spalle può essere presa qualunque decisione. Ormai stanno prendendo coscienza, se pure con una certa lentezza, del loro valore politico ed economico e dell’enorme peso che possono esercitare nella bilancia della politica mondiale. Sino a che, tuttavia, l’interessamento dei governi dei Paesi sviluppati per i Paesi in via di sviluppo sarà soltanto di strategia politica c’è sempre il rischio che esso possa andare in una direzione sbagliata, nel senso che esso venga a cessare appena le circostanze lo consentano. Si ha il timore, e certo non manca di fondatezza, che l’apertura creata nei Paesi dell’Est Europeo dal crollo del comunismo induca i Paesi capitalisti del mondo Occidentale a convogliare le loro finanze in quella direzione verso i Paesi sottosviluppati del sud, poiché la rendita economica suggerisce la soluzione di un tale comportamento. Il comunismo ha portato i Paesi dell’Est ad una vera e propria rovina economica e la perestrojka di Gorbaciov ha prodotto effetti dirompenti anziché rimedi su questa rovina, perché ha finito per stritolare quel poco di buono che il comunismo non aveva ancora maciullato. Infatti il brusco passaggio da una totale assenza di libertà in tutti i campi alla concezione di una libertà un poco artefatta, ha determinato un pauroso sbandamento politico, in quanto il totalitarismo più intransigente è stato sostituito da un libertarismo incontrollato e incontrollabile, e l’anarchia più sfrenata ha spesso preso il posto della libertà basata sul consenso.

Questo, in campo economico, ha causato una vera e propria paralisi che risulta molto pericolosa per la riuscita dell’instaurazione dei regimi democratici in quei Paesi. Non c’è dubbio che i Paesi occidentali, decidendo di aiutare economicamente i Paesi dell’Est Europeo con i governi post-comunisti che vi si sono affermati, si muovano nella direzione giusta poiché contribuiscono, in primo luogo, ad alleviare le sofferenze dei popoli di quei Paesi già per tanto tempo duramente provati. In secondo luogo, ad evitare il pericolo di nuove tentazioni politiche autoritarie che non gioverebbero affatto all’amicizia e alla collaborazione solidale di tutti i popoli del nostro continente. In terzo luogo, a far maturare la democrazia in un terreno che non è stato mai, almeno fino ad oggi, troppo a lei propizio secondo quanto la storia ci ha insegnato. I Paesi industrializzati dell’Occidente sanno bene però che i loro aiuti non possono essere diretti soltanto verso i Paesi dell’Est dell’ex-comunista, ma in ogni parte del mondo dove di essi si abbia bisogno, perché solo così potranno alleviare le sofferenze dei popoli, sconfiggere le politiche autoritarie e far allignare e maturare la democrazia anche nei terreni a lei meno propizi.