Indice articoli

 

Io penso che accettare questo modo di vedere significhi avere un senso distorto di quella che è la realtà vera; significhi avere una concezione confusa dei valori che essa esprime. Se nelle società industrializzate si avverte un malessere che procura crisi fastidiose nel modo di vivere, non si deve andare a ricercarle in chissà quali mali oscuri, bensì nella sconvolta concezione della scala dei valori vigente in tale società. Sono convinto che, ponendo ciascun valore al posto che gli compete nella gerarchia, ogni forma di crisi e di malessere sociali si saneranno. La terapia che bisogna adottare per conseguire un esito, non mi sembra poi tanto difficile. E’ opportuno non fermarsi a ciò che ci forniscono i sensi, quando vogliamo giudicare la realtà nel suo complesso. Bisogna non dimenticare che i sensi si fermano all’apparenza delle cose e che non sono in grado di andare al di là dell’empirico: ossia della sconnessione e della disorganicità. Superiamo la fase sensibile del nostro conoscere, pur senza metterla in disparte, e arriviamo a servirci di quella razionale. Avremmo allora una visione più coerente e più logica del mondo in cui viviamo. Allora giudicheremo naturale ciò che è proprio della natura, umano ciò che è proprio dell’uomo e perché no? divino ciò che è proprio di Dio. Allora capiremmo che la materia è inferiore allo spirito e che la mano, per eseguire magnificamente il suo lavoro, bisogna che sia diretta e guidata dalla mente. Capiremmo inoltre che, pure attribuendo al lavoro manuale il giusto valore che merita, quello intellettuale occupa un gradino superiore poiché occorre esercitare l’intelligenza per poterlo svolgere.

Una volta chiarito il senso giusto della scala dei valori, mi sembra che la cosa che ancora ci resta da fare, sia quella di elevare i valori stessi verso le idee, intendendo queste come punti universali di riferimento, che ogni mente umana pone soggettivamente. L’universalità e la soggettività di questi punti di riferimento stabiliti dalle vaie menti degli uomini non possono determinare una situazione di contrasto poiché essi risultano comunicabili da mente a mente nella misura in cui ogni mente è capace di concepirli ed esprimerli perché le altre menti, a loro volta, li concepiscano e li esprimano. Le idee insomma, di cui io parlo, non cessano di essere concetti mentali, com’è avvenuto per quella di Platone, ne hanno quindi carattere di assolutezza giacché il loro livello può essere sempre posto più in alto, o in periodi di civile imbarbarimento, situato anche più in basso rispetto al livello fissato in precedenza. Questi sono i momenti in cui la civiltà umana si rabbuia poiché la nostra specie dimentica le conquiste spirituali che ha raggiunto e non tiene in alcuna considerazione il patrimonio culturale che ha prodotto. Qualcuno, a questo punto, mi chiederà: “qual è la differenza tra le idee e i valori?” Le idee, come del resto i valori, si poggiano necessariamente su un fondamento metafisico, nel senso che esso è fuori di noi e che non riusciamo mai ad interiorizzarlo. La nostra ragione ne riconosce, per così dire, la funzionalità, ma ben poca altra cosa sa dire di esso. Tale fondamento metafisico di oggettività su cui i valori e le idee si fondano, non impedisce alla nostra mente di pensare in modo autonomo ossia di formulare i concetti che ritiene opportuni. Resta inteso però che la mente non può dimenticare che davanti a lei si staglia quel fondamento metafisico su cui i suoi concetti vengono a poggiarsi. Ciò significa che la nostra mente è autonoma nel concepire i propri pensieri nella misura in cui lo può essere. Infatti senza quel quid di oggettivo che le si stende davanti, essa sarebbe addirittura incapace di adempiere alle proprie funzioni: cioè di pensare. I pensieri per sussistere come tali, debbono avere un nesso. Il nesso consente loro di significare qualche cosa che la mente è capace di intendere. In altre parole: solo se hanno un nesso, i pensieri esprimono un contenuto, altrimenti sono vuoti. Ma i pensieri vuoti non possono esistere giacché essi sono pensieri solo quando significano ciò che la mente vuole esprimere. D’altro canto, la mente, pensando, deve di necessità concepire qualche cosa, giacché esprimere nulla equivale a non pensare. Ora, la nostra mente dà il nesso ai suoi pensieri, facendo riferimento a quel fondamento metafisico che oggettivamente le si pone davanti e che, pur senza costringerla in maniera assoluta a volgersi verso una determinata direzione, le ricorda che senza di esso le sarebbe impossibile esplicare il suo compito. Questo vuol dire che, quando essa non è stravolta, deve produrre pensieri che abbiano un certo ordine, il quale non è valido soltanto per lei che lo produce, ma anche per le altre menti, le quali, se sono sane, lo colgono come suo messaggio e in esso si ritrovano allo stesso modo in cui essa coglie l’ordine dei pensieri delle altre menti e vi si ritrova. Pare abbastanza chiaro che fanno un discorso privo di senso coloro che sostengono l’incondizionatezza della nostra mente nel produrre ed organizzare i suoi pensieri in quanto, come ho or ora dimostrato, essi non possono affatto sussistere se non vengono riferiti a quel fondamento metafisico che costituisce inderogabilmente la loro base. Bisogna però precisare che il fondamento metafisico, su cui la mente basa i suoi pensieri, non è qualche cosa d‘immobile e d’immutabile che si contrappone alla mente senza alcuna possibilità di conciliazione con essa, al contrario, la mente, producendo ed organizzando i propri pensieri, adegua il fondamento metafisico alle sue esigenze, ma, in una certa misura, è, a sua volta, adeguata alla situazione del fondamento metafisico stesso.