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Il fascismo con la violenza della sua azione aveva dunque vinto malgrado la mancanza di un programma teorico, che avesse potuto fornirgli una dottrina su cui fondare la propria azione di governo. E’ stata l’impetuosità dell’azione che ha portato il fascismo al governo dell’Italia. Tuttavia per potersi reggere un tale governo ha dovuto anch’esso far ricorso alle idee. Vero è che il fascismo non ebbe mai una dottrina politica che lo abbia caratterizzato. Le sue concezioni dello Stato e della vita in generale le mutuò da fonti diverse, in parte fagocitandole senza tributare loro alcun segno di riconoscenza – come è avvenuto per le dottrine dei nazionalisti-, in parte appropriandosene semplicemente, come è stato il caso per alcune dottrine di Sorel e di Nietzsche; in parte manipolandole per dare un fondamento alla sua azione di governo, come è capitato alle dottrine dello Stato di Hegel. Giovanni Gentile ha sottolineato, talvolta, la concordanza della sua filosofia politica con il fascismo. Ma una concordanza vera con esso non la raggiunse mai. Il fascismo non sentì di identificarsi con la dottrina di Gentile se non per quel tanto che lo ritenne opportuno ed utile al dispiegamento della sua azione di governo. Il fatto è che fu Gentile ad idealizzare il fascismo, scorgendo in esso ciò che non vi era. Egli sentì il fascismo come un liberalismo dallo Stato forte, che affondava le sue radici nel nostro Risorgimento, di cui era anzi la continuazione. La filosofia di Gentile quindi rimase per molti versi estrinseca al fascismo malgrado le intenzioni del filosofo. La prova più chiara è che essa, specialmente dopo il concordato del 1929 tra lo Stato fascista e la Chiesa, fu tollerata mal volentieri dal fascismo, fino al punto da essere addirittura attaccata apertamente da Paolo Orano in parlamento nel 1937. Quando Mussolini, ormai in completa balìa del nazismo hitleriano, fondò la Repubblica Sociale, nota universalmente come Repubblica di Salò, Gentile diede il suo assenso a tale Repubblica. Ma lo fece molto probabilmente più per l’obbligo morale che gli correva verso il fascismo, in quanto lo aveva gratificato con il conferimento di varie onorificenze, che per ferma convinzione di pensiero.

Ho già detto che il fascismo non ebbe una vera dottrina di filosofia politica originale su cui basare scientificamente la propria azione di governo. Ma poiché governare è un mestiere più complesso di quanto si creda comunemente, anch’esso, per durare al potere, dovette tradurre in idee organiche e dotate di coerenza quei fatti e quelle azioni che, quando ascese al governo dell’Italia, erano incomposti e persino contraddittori.

Ma ecco, in maniera sintetica lo schema di quelle idee.

Lo Stato è il fondamento di tutta la società. Ogni aspetto della società, sia esso economico, sociale, politico, giuridico, morale, religioso, artistico, ecc., non può sussistere fuori dallo Stato, ma esclusivamente dentro di esso. Lo Stato è tutto, e nulla può essere concepito fuori di esso. Lo Stato è forte, accentrato, unitario e autoritario, nel senso che di ogni autorità è la fonte. E’ uno Stato etico per cui derivano direttamente da lui le istituzioni e le leggi. E’ dinamico e perennemente attivo. La sua caratteristica principale è l’universalità, che pone dentro di sé l’individualità, la quale si identifica con esso. La libertà dell’individuo consiste nell’obbedire in tutto alle necessità delle leggi e delle istituzioni espresse dallo Stato. L’individuo è tenuto a compiere i sacrifici che gli chiede, a credere in esso e a obbedirgli supinamente. Il motto che Mussolini raccomandava ad ogni buon fascista, era : “ credere, obbedire e combattere”. Lo Stato proteggeva, garantiva e favoriva la cultura e nelle sue varie forme: la scienza, l’arte, ecc. . Lo Stato aveva, come sua religione, la Religione cristiana, apostolica romana, che era la religione da sempre professata dagli italiani. In campo economico, lo Stato fascista era uno Stato corporativo le cui regole erano sancite ed espresse nella Carta del lavoro pubblicata nel 1927. Tutti i cittadini lavoratori erano inquadrati nelle diverse corporazioni a seconda del tipo di lavoro che svolgevano. Così, accanto alla corporazione dei datori di lavoro, vi era quella dei lavoratori, dei giuristi, degli scienziati, degli artisti, ecc ecc. Lo Stato perseguiva esclusivamente gli interessi della Nazione italiana, ne tutelava la dignità e l’indipendenza, e ne esaltava il prestigio nel mondo. Di qui la tendenza all’autarchia e all’espansione verso l’esterno per assicurare al nostro popolo il giusto spazio vitale che meritava. A questo insieme di idee, che vennero organizzandosi e strutturandosi man mano che gli anni di governo si succedevano gli uni agli altri, il fascismo aggiunse, certo a sua grande vergogna, le idee razziste, formulate ed applicate da Hitler in Germania, e le tradusse in pratica applicazione con le Leggi razziali del 1938. Con queste leggi l’incoerenza della dottrina politica del fascismo toccò l’apice; e tanti ebrei che avevano creduto nel regime, offrendogli tutto il loro contributo di pensiero e di azione ed occupandovi per questo motivo cariche di somma importanza, si videro all’improvviso gettati sul lastrico ed abbandonati come cani rognosi. Allora sperimentarono con amarezza l’irrazionalità su cui il fascismo poggiava le proprie dottrine, e provarono sulla propria pelle quanto fossero vere le ragioni per cui gli antifascisti avevano lottato, affrontando sacrifici gravissimi e pagando in tanti persino con la vita. L’attivismo irrazionale con cui il fascismo volle vivere durante il suo periodo di governo, finì per trascinarlo verso la rovina. Mussolini e i suoi collaboratori, ammesso che non sia stato solo lui a decidere, che avevano la pretesa di molto agire e di poco meditare, il 10 giugno del 1940 entrarono in guerra a cuore assai leggero poiché non fecero bene i conti né con se né con gli altri. Questa pretesa di attivismo a tutti i costi impedì loro di valutare adeguatamente i fatti e di porli, come sarebbe stato giusto, nella dovuta relazione con le idee. La guerra, è vero, fu spaventosa per l’Italia; ma per il fascismo segnò la fine di ogni suo potere, e, quel che è peggio, della sua credibilità. Gli osservatori attenti però non dubitavano affatto che il fascismo potesse finire come finì, perché sapevano bene che dietro le spalle non aveva una solida dottrina a sorreggerlo. E già nel 1925, quando Giovanni Gentile pubblicò il 21 di aprile il Manifesto degli intellettuali fascisti in cui faceva un’esposizione della dottrina del partito, Benedetto Croce rispondeva il 1 maggio con un contromanifesto, firmato da un nutritissimo numero di intellettuali coraggiosi, nel quale dimostrava che il fascismo non aveva una propria filosofia, ne poteva aspirare a possederla, date le sue idee confuse e disorganiche.