La famiglia è l’elemento fondamentale delle società, allo stesso modo che la cellula è il fondamento dell’organismo.
Una famiglia composta ed ordinata in un equilibrio stabile rispecchierà anche una società equilibrata e ben ordinata nelle sue componenti.
Il sano sentimento familiare produce una società piena di salute.
Il portamento originale della famiglia è nella natura, ma l’uomo la determina a suo piacimento. Prende l’avvio dall’esigenza che i primi uomini ebbero di soddisfare i loro bisogni sessuali. Da qui viene il sentimento della pietà umana che la costituì. I primi uomini, ancora nello “stadio del senso” – come direbbe Vico - , presero le loro compagne, si ritirarono nelle caverne, nei boschi o in altri luoghi appartati per soddisfare i loro istinti sessuali. Proprio in quel momento nacque un sentimento di gran lunga superiore all’istinto sessuale. Nacque l’affetto che l’uomo e la donna sentirono reciprocamente. Fu da allora che decisero di stare insieme e di allevare la prole che scaturì dai loro rapporti amorosi.
Intanto le caverne, prima, le palafitte e le capanne poi, divennero le abitazioni stabili delle coppie. Quivi i bambini venivano raccolti, allevati e curati amorosamente dai genitori.
La vita era particolarmente dura per l’umanità di allora. Essa era insidiata dagli animali feroci, afflitta terribilmente dalle intemperie naturali. La scoperta del fuoco fu per la famiglia un evento prodigioso, trasformò radicalmente la sua vita, permettendole di meglio adeguarsi all’ambiente che la circondava con le vitali comodità che poté procurarsi. Fu infatti grazie al fuoco che poté cuocere i cibi, difendersi dalle insidie notturne degli animali feroci e dalle intemperie naturali.
Spinte dalle difficoltà in cui si trovarono a vivere, le coppie dovettero operare la prima divisione del lavoro. L’uomo, data la sua maggiore forza fisica, si incaricò di procurare alla famiglia il sostentamento materiale. Prese ad andare a caccia nei boschi e a pesca sulle rive dei fiumi, correndo terribili avventure pur di portare alla propria famiglia il necessario con cui sfamarsi. La donna rimase nella capanna per accudire ai figli e al marito quando sarebbe ritornato. Nel tempo libero coltivò i campi nelle più immediate vicinanze della capanna, dando luogo all’agricoltura che sarà la principale risorsa per il successivo sviluppo del genere umano.
La relativa vicinanza tra le capanne fece intraprendere le prime relazioni tra le famiglie. Gli scambi delle visite divennero sempre più frequenti. I giovani cominciarono a scambiarsi sentimenti ed impressioni. Spuntarono irresistibili simpatie tra maschi e femmine delle diverse famiglie e si costituirono gli accordi per le unioni. Nacquero così famiglie nuove, le quali si sentirono legate per vincoli di sangue alle famiglie d’origine. Da esse si formarono le prime associazioni tra famiglie imparentate che i Romani chiamarono gentes. Dalle gentes scaturirono poi, per una serie di circostanze svariate, le tribù e i villaggi. Con i villaggi sorsero i primi ordinamenti sociali, le prime istituzioni civili e politiche.
Un capo indiscusso si affermò sulla comunità, l’autorità del quale venne riconosciuta da tutti o quasi. Ma coloro che non vollero riconoscerla in un primo tempo furono costretti a farlo in seguito, pena la loro esclusione dalla comunità, se non, addirittura, la soppressione fisica. E soppressioni fisiche ce ne furono certamente, tenuto conto della barbaria primitiva in cui l’umanità era immersa e nella quale l’unico modo di sbarazzarsi dell’avversario era la sua soppressione totale, giacché non è credibile che i capi primitivi non abbiano incontrato opposizioni nell’imporre la loro volontà di dominio assoluto sui loro simili.
Come si affermarono i capi nelle comunità primitive? Documenti diretti di come ciò sia avvenuto, non ce ne restano molti. Tuttavia dagli studi effettuati dagli antropologi nelle popolazioni che oggi vivono ancora nello stadio primitivo e da un attento studio caratteriologico anche dell’umanità altamente civilizzata, nonché dalle osservazioni che si possono condurre ,o che già sono state condotte, sulle varie società che si sono succedute lungo il corso della storia, non è difficile immaginarlo. I capi delle comunità primitive erano, senza dubbio alcuno, uomini di intelligenza e di capacità volitive e superiori a quelli su cui si imposero e che divennero i loro sudditi. Ebbero anche una fantasia pregevole, che li soccorse nell’escogitare stratagemmi con cui mirarono a sbalordire i componenti e le comunità su cui si ersero, facendo credere che essi erano dotati di facoltà superiori o che erano in comunicazione con le divinità, per cui potevano fungere da mediatori tra queste e gli abitanti della comunità ed elargire a loro piacimento i favori divini. La decisione estrema, la durezza ostinata e persino la crudeltà più terribile, fecero parte del loro carattere forte e complesso. Ogni loro atteggiamento tendeva a dimostrare che essi erano indispensabili alla comunità e che essa sarebbe incorsa in chissà quale rovine senza il loro sostegno. Perciò erano sempre pronti e propensi a blandire e a fustigare, a spingere di obbedire per comandare senza oppositori. Accentravano ogni forma di potere nelle loro mani. Erano capi supremi degli eserciti, sommi sacerdoti, giudici unici ed indiscussi, legislatori ed esecutori delle leggi che essi stessi facevano, padroni incontrastati degli uomini e delle cose che appartenevano alla comunità. E tutto questo per loro era naturale perché pensavano di essere i veri generatori della comunità. Pensavano che essa era stata, non solo costituita da loro, ma anche mantenuta nella sua esistenza grazie alle energia che costantemente vi profondevano. Ogni loro azione, per quanto arbitraria fosse, veniva fatta per il bene della comunità, allo stesso modo che ogni azione di un padre di famiglia viene fatta per il bene della famiglia, giacché essi erano convinti non di essere figli della comunità, bensì padri.
Fine prima parte.